Rimagna è un piccolo borgo della montagna parmense ubicato a 1000 m di altitudine il cui toponimo, con tutta probabilità, deriva dall’antico luogo degli “Arimanni”.

I Longobardi chiamavano arimanni i guerrieri accampati in stabili guarnigioni, in luoghi strategici particolarmente importanti e, nel nostro caso, Rimagna si trovava appunto nei pressi del “Limes”, il crinale appenninico che divideva la dominazione Longobarda da quella Bizantina. Il paese di Rimagna, nel 1955, contava più di 300 residenti, mentre attualmente durante il periodo invernale si riesce a malapena a superare 30 abitanti.

Rimagna era notoriamente un paese di “cantarìn, sonador e balérìn”. Cantavano (donne e uomini) i canti popolari comunemente noti nella zona e gli uomini, in prevalenza pastori, durante le transumanze in Maremma avevano imparato e sapevano riproporre la “Pia de’ Tolomei”, “Giulia” la disputa fra “il ricco e il contadino” e addirittura alcuni brani del “Maggio drammatico”.

Ad onor del vero, c’è ancora chi sa cantare alcune di queste melodie tramandate oralmente; è Pierluigi Musetti, che ha ereditato la dagli anziani “cantarìn” la passione per il canto popolare e ogni tanto sa dimostrare di essere un degno erede dei “cantastorie” di Rimagna.
Se c’è ancora una piccola continuazione dei “cantarìn”, non è purtroppo così per i “sonador” di cui Rimagna ne era un esempio vivo sino agli anni ‘50.
È accertato che a Rimagna nei primi anni dell’ottocento esistevano già dei suonatori di piva e, i componenti di questa famiglia, quella dei Dalcielo erano e sono tutt’ora chiamati i “Pivaj”. La foto che proponiamo è stata scattata l’otto di settembre del 1936 in occasione della festa patronale di Rimagna e contemporaneamente per festeggiare la laurea in medicina del dott. Antonio Mavilla, classe 1907.

Nelle feste paesane, non mancavano mai i “sonador” che avevano abbandonato la piva per la fisarmonica e il clarinetto.

Nella foto (da sinistra) è ritratto Lino Dalcielo con la fisarmonica, al suo fianco c’è il fratello Antonio (detto “el Begg”) con il clarinetto; erano entrambi discendenti della famiglia dei “Pivaj”. A fianco dei fratelli Dalcielo, stando alla testimonianza preziosa di Remo Mavilla (che ha fornito la foto), con il clarinetto, c’è un certo  sig. Colombini (manca il nome), un operaio addetto ai  lavori nella galleria di una condotta d’acqua della CIELI (ora ENEL) nel tratto che va da Rimagna a Vecciatica. Dalla foto si può notare che tutti gli uomini hanno il cappello e il vestito della festa, così pure le donne e i giovani che prendono parte ai festeggiamenti; a quei tempi le mense non erano ricche come oggigiorno, ma la voglia di divertirsi era tanta, così pure come l’entusiasmo favorito dalla la musica dei “sonador”. I paesani oltre a poter ballare con i balli classici come il valis (valzer), piva furlana, manfrina… tutti potevano divertirsi e gioire con il “Ball ed l’ahi” e il “Bala-cant” varianti spassose e a volte trasgressive del ballo.

Si ballava nelle aie o nelle stanze più ampie del paese; non importava se i “sonador” suonavano spesso ad “orècia”, l’importante era ballare tutta la notte, anche a costo di consumare le suole delle scarpe.


Giacomo Rozzi